Nina

– La realtà, devi sapere, è piuttosto fittizia. Nei fatti, nulla importa. Chi dev’essere vincitore sarà vincitore, chi perditore perderà. Con questo non voglio scadere nel filonazismo o nel liberalismo becero. Infatti non ho detto mica “chi sarà vincente” – da vincentes, coloro che vincono – ma bensì “vincitore”, da vincituri, coloro che sono destinati a vincere. Dunque non è un fatto così, da dare per scontato. Chi un minuto prima te lo credevi che si conquistava il mondo, te lo ritrovi poco dopo in un bunker a Berlino a spararsi piagnucolando. E pur tuttavia, la vita ci schiaccia tutti come brufoli al mattino. Ci sono tanti modi per vincere, devi solo trovare il tuo, Nina.

Nina ascoltava sempre con interesse i discorsi del nonno. Non capiva granché, ma la facevano ridere i suoi baffoni bianchi che borbottavano a ritmo con i suoni. Le piaceva anche guardare fuori dalla finestra con la pioggia, a volte più divertente e altre volte spaventoso. Le sue labbra tremavano di pianto, allora.
Un giorno venivano alla porta dei signori, che dissero qualcosa. La mamma pianse a lungo, il nonno – fatto questo forse ancora più notevole – quasi non parlò per una settimana intera. Comunque, papà non c’era più. Questo glielo disse il nonno, pregandola di mantenere il silenzio. Ma i tentativi si rivelarono, ovviamente, vani. In seguito vennero altri signori, qualcuno si fermava a cena. Spesso alzavano la voce durante le discussioni, ma avevano un viso sempre dolce e abbracciavano Nina ogni volta che potevano. Il papà – pare – era caduto durante la ristrutturazione della facciata di un palazzo notarile. L’imbracatura di sicurezza era difettosa. – I giornali parlano di fatalità – continuavano a ripetere – ma è forse fatalità questa, che neanche controllano le attrezzature fornite ai lavoratori? Per quel lavoro questi si incassano migliaia di euro, e risicano anche sulle briciole. Scommettono sulle spalle dei lavoratori, come dei broker impazziti. Scommettono che non muoia nessuno, e che se per caso succedesse la perdita sarebbe minore del guadagno. Noi ora possiamo chiedere tutti i soldi che vogliamo, ma chi cazzo ce la ridà, a noi, la sua vita?

Nina, compiuti i 18 anni, tira una raglia di cocaina sul cellulare della sua migliore amica. Il tipo con cui esce le sta addosso da tutta la sera:
– Porcoddio, ora lo ammazzo!
– Meh, vabbè, state uscendo, sta sbronzo, vuole scopare!
– E io stasera di scopare non c’ho cazzi, è il mio cazzo di compleanno e porcoddio me lo voglio godere tutto senza ‘sto stronzo che mi gira tra le palle – o che cazzo c’ho tra le gambe.
– Vabbè, mo’, stai calma. Mo’ stai qui, non ti ha detto un cazzo. Fumati una sigaretta e calmati.
Fumano la sigaretta. Si calma.
– Torniamo a ballare?
– Daje. Mo’ come minimo mi limono l’altro, come cazzo si chiama il suo amico. Così si leva un po’ dal cazzo.

Io dico che è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati.
E così, davanti alla tomba del nonno, pensava all’amore perduto.
– Avevi ragione tu, nonno. Un senso tanto non c’è. Dobbiamo essere vincitori.

Il datore di lavoro del padre di Nina era stato condannato a una multa. Altri 5 lavoratori erano morti da allora nei suoi progetti, ma ormai la sua attività di era espansa e ad essere condannati erano i padroni sub-appaltati. Nina, da grande, ricordava ben poco di suo padre. Ricordava però la rabbia.
Un giorno, durante degli scontri intensi, la marea blu la investe di manganellate e la porta giù a fondo, dritto nella camionetta. Quando riemerge, la sentenza diventa in breve tempo definitiva: regime speciale, niente contatti, pochi libri, perquisizioni intimidatorie, botte non visibili, urla.

Un giorno il nonno parlava con Nina dei vicini di casa, che erano stati arrestati per traffico di stupefacenti.
– Che sarà pur vero che quei due sono dei criminali e dei pezzi di merda – dice – e che è ingiusto quello che hanno. Ma è pur vero che qua quando un povero fa un’ingiustizia lo chiamano un crimine, quando un ricco fa un’ingiustizia lo chiamano legge!

Queste parole le risuonavano ciecamente nel cervello. Per buona condotta era stata rilasciata precocemente dopo il regime speciale. L’avvocato era riuscito a far riaprire il caso e far cadere alcune delle accuse più gravi. Ora, erano due mesi che stava ai domiciliari, e il caldo asfissiante di Agosto non rendeva più sopportabile il buco in cui era costretta a rimanere. – Dopo l’ora d’aria, l’ora d’afa mi devo prendere, ‘coddio! – pensava, sensibilmente cristiana. Col suo tipo si erano pure mollati prima di tutti i fatti, aveva provato a scrivergli ma quello stronzo le aveva risposto che sarebbe voluto passare, ma la nuova tipa era gelosa, al massimo passavano assieme.
– Va’ a farti fottere, anarchico finché l’autorità non ti mostra la figa. Porcoddio! –.
Suonano alla porta.
– Sono io, Giano, quello del terzo piano! Scusami, ho saputo ieri della situazione, ho visto i poliziotti sai. Mi vergognavo un po’, però volevo dirti che io se vuoi sono qui tutto Agosto perché devo lavorare, e sono da solo anche io. Se ti va, ceniamo insieme ogni tanto?

– La realtà, dovete sapere, è piuttosto fittizia. Nei fatti, nulla importa. Ma è questo il bello: non stritolatevi tra i ricordi e i sensi di colpa. Siate sempre cari e fate del vostro meglio per far star bene la gente, ma non fatevi carico di qualcosa che è al di là di voi. Quello lo si può fare al massimo in gruppo, non certo stando da soli in preda ai morsi della coscienza. Condividete, abbracciate, amate, scopate. È solo così che si può costruire la vera umanità. Né schiavi, né padroni. E chi crede che questo mondo sia il male, be’ forse è esso stesso il male di cui soffre. Ci sono tanti modi per vivere, e voi dovete trovare il vostro.

Il Senso

Sirio osserva il mondo avvenire fuori dalla finestra, silenzioso. Lampi di macchine sfrecciano in lontananza e in vicinanza. Passa qualche passante. Qualcuno urla, qualcun altro no. Una o due volte un cane piscia su un lampione. L’aria della sera è fresca, con quel particolare odore che solo l’osservazione di una città dall’alto può dare all’aria serale. In cielo, neanche una stella.

– È pronto in tavola!

La meditabonda e silenziosa osservazione viene interrotta dal più gretto materialismo. Sirio prova a resistere, ma l’atmosfera è stata infranta. Getta un’ultima occhiata, giusto il tempo di individuare un losco individuo con un ombrello nero. Fa un lungo respiro, e scende il breve tratto di scale che lo conduce fino alla sala da pranzo.

– Buonasera a tutti i gentili telespettatori.

– Buonasera, buonasera! – risponde un po’ brusca un’anziana, anziana signora, servendo al contempo un delizioso sformato di patate. Otto figure la osservano un po’ costernate, ma si astengono dal commentare. Direttamente in diretta dallo schermo il tigì prosegue per la sua strada.

– Il Parlamento ha ufficialmente messo fuori legge l’acido desossiribonucleico, dopo che tracce di questa sostanza sono state ritrovavate nel corpo di decine di giovani stragificati dal Sabato Sera.

– Cosa non si vanno a inventare i giovani d’oggi – interviene una figura, che ha tutta l’aria di essere una madre – eccheccos’è poi questo acido desossiricreico?

– DNA.

L’asserente risposta s’è levata da un’altra figura, che ha invece l’aria di essere più che altro un nipote.

– E che fa questo diennà di così letale?

– Nulla. Trasmette il patrimonio genetico.

– Beh, se l’hanno messo fuori legge ci sarà pure un motivo, no?

– No.

Quel nipote dimostra di possedere un’ampia cultura, ma di sicuro non una grande capacità comunicativa. La madre, indecisa, tace. Lo sformato di patate si è nel frattempo esaurito sopra i piatti.

– I bombardamenti a tappeto mirati sulla capitale dello Yemeran non hanno portato ai risultati sperati. Gli Stati Aggregati d’Oltreoceano promettono interventi ancora più pesanti, anche in seguito agli attentati…

– La prego, sto servendo il dolce, trasmetta qualche notizia più allegra! – interviene l’anziana, anziana signora, rivolta all’indaffarato e indifferente (ma non in differita) presentatore. Nel frattempo, serve un delizioso tiramisù alle altre otto figure che la osservano, un po’ costernate, ma senza commentare. Una delle figure (nello specifico Sirio, che ha tutta l’aria di essere un figlio) inizia una conversazione di questo genere:

– Dopo cena credo che uscirò.

– E dove vai? – chiede maternamente una nuova figura, dall’aria piuttosto paterna.

– Non so. In giro. Forse mi vedo con una mia amica, forse no.

– Non fare tardi.

– Non so.

– Chi è questa tua amica?

– Non sai.

– Vero. Verissimo.

Tacciono.

– …la nuova riforma economica, che – promette il premier – contribuirà ad abbassare la disoccupazione alzando i licenziamenti, in modo da generare un interscambio intergenerazionale mestierifero che darà spazio ai giovani, che potranno pensionarsi con largo ritardo e godere di una riduzione sull’IVA del 2,3% per i cognomi con più di tre virgole e nuovi e più forti incentivi statali per chi vuole costruire barche a vela che sventolano il tricolore! Onore! L’opposizione accusa il governo di non sottostare abbastanza alle richieste della G…

– Non ci sono più le destre e le sinistre – sbuffa una quinta, ziificante figura.

– Zitto tu, che sei un comunista.

– Tsù. Ma se faccio parte da anni del Fronte Nazionale Antizecche, ma dico, ti pare?

– Non lo so, non lo so. Voi estremisti siete tutti uguali, sempre a lamentarvi. Che cos’avrete poi da lamentarvi delle zecche, ma dico, ti pare?

– Smettetela di bisticciare come bambini – interviene un uomo di mezza età, ospite di forma (ma non necessariamente di sinolo) – dovreste sapere benissimo che questi litigi sono tipicamente italiani. All’estero, dove sono notoriamente più progrediti, hanno già superato da tempo queste stigmatizzazioni. Destra? Sinistra? Estremismi? Puah, carta straccia della storia! Lì ognuno pensa con la propria testa, senza ideologia, senza un’idea di fondo. Ci si muove con la corrente, si vota quello dall’aria più simpatica. Si ride tanto dei comici per il sistema quanto di quelli contro. È tutto più smart, più leggero. I ragazzi non parlano di politica, parlano solo di chi si sono portati a letto. In Inghilterra ad esempio, dove vivo io…

Ma tutti hanno ormai smesso di ascoltarlo. Il tipico vizio degli italiani che vivono all’estero: parlare. Preferibilmente a sproposito. Il significante zio sta per proseguire la discussione ignorando completamente il precedente intervento, ma viene distratto dalla fine del tiramisù. Finisce anche il tigì.

– E questa era l’ultima notizia.

– Buonasera, buonasera.

– Buonasera a lei, signora – risponde affabile il giornalista.

Sirio si prepara, ed esce.

La sera lo accoglie con i suoi tipici bagliori cittadini. Silenzioso, accende una sigaretta e procede verso la fermata del bus. Mentre cammina, osserva gli alti e grigi agglomerati di appartamenti alla sua sinistra. Osserva alla sua destra il parchetto della stazione. Sulle panchine, quattro ragazzi ridono, fumano e bevono.
Uno di loro ha un carrello della spesa, ci sale sopra mentre un altro spinge. Ridono. Poi fumano e bevono.
Alla sua sinistra, i palazzi danno la strana idea di enormi comodini. La sigaretta, suo malgrado, finisce.
Salite delle scale, si ritrova alla fermata. Accanto a lui una prostituta fuma. Silenzioso, accende anche lui un’altra sigaretta. Attende.
Un autobus passa, si ferma e riparte. Così un secondo, ma stavolta Sirio sale a bordo.
La prostituta continua ad attendere.

Sopra il mezzo tutti sono silenziosi. Certuni osservano distratti i telefoni, cert’altri osservano distratti fuori dal finestrino. Qualcuno osserva distrattamente gli altri osservare distratti. Una coppia si bacia appassionatamente. Silenzioso, si distrae anche Sirio.

Sceso dalla vettura tira un’abbondante boccata d’aria, condita di smog urbano. Per filtrare il pessimo gusto dell’abbondante aria appena ingerita, accende una terza sigaretta. Poi inizia a camminare.
Camminando, incontra un gruppo di tre conoscenti, così composto:

  • Numero uno ragazze con capelli parzialmente verdi, numero tre piercing visibili e aria di netta superiorità psicomorale. Fidanzata.
  • Numero due ragazzi, uno con cappello rigirato e uno sprovvisto, privi di segni particolari e privi in generale di interesse o interessi, tranne in quel momento la ragazza con i capelli parzialmente verdi. Fidanzata.

Poiché i tre conoscenti si trovano esattamente davanti al pub da lui prescelto, e poiché l’uomo è in fondo un animale sociale, Sirio li segue all’interno. Ordina un mezzo litro di doppio malto rossa, irlandese.
Beve, e ascolta distrattamente le chiacchiere dei conoscenti, poi le chiacchiere degli astanti, infine confonde le due e inizia a perdere il senso delle cose. Questo lo porta a intervenire improvvisamente a sproposito:

– Anche io ci sono stato! È un posto stupendo! Anche se le persone che ci vivono… un po’ così.

– Ci sei stato dove?

– Di cosa stavate parlando?

– Dicevamo che il problema sta a valle, per fortuna.

– Ah. La valle. Il problema sta a valle. Quale problema?

Ma i due giovincelli sono tornati a interessarsi della ragazza con tre piercing. Gli pare di capire che il problema abbia a che fare con il burrascoso rapporto tra lei e il suo fidanzato, che ama tanto.

Finita la birra, esce.

Fuori dal pub agglomerati di persone si comprimono e si dilatano, seguendo scompostamente un misterioso ritmo che a sentirlo dev’essere davvero terribile. Neanche a dirlo, si accende silenzioso una sigaretta e s’incammina per la sua strada, qualunque essa sia.

Di ciò che accade successivamente, basti dire che incontra due suonatori di strada con cui si ferma a chiacchierare, saluta un vecchio amico che non vedeva da molti anni, conosce un gruppo di ragazzi cui si ferma a chiedere un’indicazione. Rivede inoltre la ragazza che ha amato, ricambiato, per due lunghi anni, e sorride a una passante molto carina. Viene urtato per errore da un tossico, trascinato dal cane al guinzaglio, e si ferma con degli amici a bere in un altro pub. Giunto il momento giusto, saluta tutti e si avvia.

– Ciao.

Sorride.

– Ciao.

Sorride.

Si fissano negli occhi per qualche istante. I suoi sono azzurri, contornati da mossi capelli biondi. Sofia.
Porta sulle spalle uno zaino, in mano una tenda. Gli affida la tenda.

– Siamo in tempo per l’ultimo autobus. Vieni.

Durante il tragitto, gli espone il piano. Sirio, silenzioso, sorride e si accende una sigaretta.
Attendono il passaggio sopra una panchina.
Il calore che si trasmettono i loro corpi.
Le macchine che passano, passano, passano. Si alternano con qualche motorino.
Infine, passa l’autobus.
Con loro a bordo solo immigrati di ritorno dal lavoro, e un’anziana, anziana signora. Giunti nel nulla, scendono.

– Vieni.

Si arrampicano lungo un dolce pendio, in mezzo a radi alberi boscosi. Il profumo del legno li avvolge nella sua umidità. Di tanto in tanto, le loro mani si carezzano. Per il resto, proseguono silenziosi.
In cima alla collina, una radura si estende per un lungo tratto dell’opposto pendio. La luna giace lì al centro. In cielo, qualche stella sparsa.

– Mi ricorda un altro posto dove sono stato. Un posto stupendo! Anche se le persone che ci vivono… un po’ così. Aspetta, ti do una mano.

Montano la tenda, poi stendono un telo e ci si siedono sopra. L’aria è ancora calda, nonostante l’ora. Sofia è bellissima, e i suoi rossi ricci riflettono la luce della luna. Gira una canna, pensierosa.

– Come mai hai accettato il mio invito? Ci conosciamo appena. Io non so se avrei accettato.

– Non saprei. Così. Sembri interessante.

Sorridono. Fumando, Sirio la avvolge in un abbraccio.

– Perché non togli gli occhiali?

– Poi non vedrei niente. C’è un bel panorama, qui.

Sofia sorride.

– Ti consiglio di toglierli invece: non vorrei che si rompessero.

Lo fanno: un po’ fuori, e un po’ dentro.
Infine si addormentano uno a fianco all’altro, nudi sotto l’unico sacco a pelo. Il calore che si trasmettono i loro corpi. È già quasi l’alba.
Vengono svegliati dal sudore e dal caldo soffocante. Il sole, già alto, picchia sulla tenda senza pietà. Grugniti e braccia che si distendono. Un bacio schiocca. Poi un altro.
Lo fanno: soltanto fuori, visto il caldo.
Sofia tira fuori dallo zaino un thermos di caffellatte e dei biscotti secchi. Sirio gira una canna, pensieroso.

– Che senso hanno tutti questi momenti perduti?

Indica loro due, indica il bosco, indica il sole. Indica la strada, le macchine che sfrecciano in lontananza e in vicinanza. Sofia fa spallucce, e gli passa il thermos e dei biscotti.

– Attaccati, non abbiamo tazze.

Poi, dopo una lunga pausa, accenna una risposta.

– Beh, credo tu sappia perfettamente che non hanno alcun senso. Hanno il senso che gli dai tu. È il gioco della libertà, è tutto soltanto un gioco. Credo sia per questo che mi hai seguito. Non abbiamo il controllo su niente, e allo stesso tempo il controllo su tutto. È strano. Probabilmente, non se ne può semplicemente parlare. Puoi solo sentirlo.

Respira a lungo, profondamente.

Giocano, leggono, ridono e cantano per il resto del tempo, finché il sole non inizia a calare. Lo fanno un’ultima volta, rotolandosi nell’erba, e sgomberano il campo.
Alla fermata, si dividono per opposte direzioni. Si salutano con un bacio e un lungo abbraccio, in cui respirano a fondo il reciproco profumo.
Sirio osserva a lungo allontanarsi quella fluente creatura, i neri capelli intrecciati che scivolano lungo la sua schiena. Sorride. Poi si gira, e si avvia anche lui.

Sceso dall’autobus, scende delle scale. Il parchetto alla sua sinistra verdeggia sospinto dal vento. I palazzi alla sua destra s’ingrigiscono col passare degli anni, ma a questo lui non può far caso, mortale com’è.
Giunto all’angolo di casa, si trova di fronte un losco individuo con un ombrello nero.
Glielo punta contro:

– Bang! – esclama.

– È solo un ombrello – gli fa notare Sirio, per niente impressionato.

– Vero. Verissimo.

Estrae una vera pistola, e gliela punta contro:

– Bang! – esclama.

Il corpo di Sirio cade a terra esangue.
Per il resto, chissà.